Dario Ginefra, parlamentare, da dieci anni impegnato sul tema-immigrazione
«Non lasciatevi impressionare dai numeri, li sbandierano in modo strumentale: che dovrebbero dire Giordania e Libano? Combattiamo il caporalato con pene più severe. E distinguiamo le strutture serie dal business di mafia e camorra»
Fra gli ospiti di “Costruiamo Insieme”, Dario Ginestra, parlamentare, componente della “X Commissione Attività produttive” e della “Commissione giurisdizionale” per il personale.
Accoglienza e migranti, onorevole, non avverte forse una certa mancanza di programmi di integrazione?
«Negli ultimi dieci anni sono stato personalmente impegnato nel verificare la qualità dell’accoglienza, soprattutto nei Centri, un tempo denominati CIE, Centri di identificazione ed espulsione presenti sul nostro territorio regionale. La qualità dell’accoglienza è punto fondamentale di civiltà giuridica, viene dunque prima ancora del programma legato alla gestione dei flussi migratori; in alcuni casi sono state evidenziate storture nel sistema di accoglienza; è bene essere chiari: si presta massima ospitalità a gente che viene da Paesi in cui esistono conflitti civili o, comunque, gravi situazioni economiche; il più delle volte cittadini dall’Africa subsahariana sono stati trattati quasi fossero il problema dell’Italia».
I numeri sull’accoglienza, spesso sfuggono a quanti usano il tema in modo strumentale.
«Quando si parla di “invasione”, non si pensa a Paesi come la Giordania, Libano o altri Stati che hanno conosciuto i veri flussi migratori: parliamo di milioni e non qualche migliaio di cittadini; in più – e questo è un aspetto distorsivo sull’aspetto dei flussi migratori – gli extracomunitari vengono indicati come generatori di problemi sulla sicurezza dei cittadini, quando in specifiche aree territoriali esiste una consolidata presenza di clan di stampo camorristico e mafioso».
Un giro per le nostra campagne e un paragone con gli italiani negli Stati Uniti un secolo fa.
«Sarebbe sufficiente questa riflessione, per accorgerci quanto gli immigrati svolgano una funzione determinante per l’economia della nostra regione, del nostro territorio; invece, a questi viene coniugata l’immagine di generatori di problemi; se gli Stati Uniti avessero fatto una riflessione generalizzata sull’immigrazione italiana negli Anni Venti del secolo scorso, piuttosto che circoscriverla alla mafia, una parte della fortuna degli USA sarebbe venuta meno; gli italiani, con la loro capacità di lavoro, invece, hanno fortemente contribuito a costruire una delle più grandi democrazie del pianeta».
Insistiamo, onorevole: questo vuoto di programmazione, non rischia di consegnare la manodopera, una risorsa piuttosto che un peso, direttamente alle mafie?
«Nell’ultima legislatura abbiamo affrontato con determinazione l’economia nel settore agroalimentare del nostro Paese, una parte della quale interessava l’intermediazione illegale nella manodopera, più nota come “caporalato”; abbiamo previsto nel nostro Ordinamento giuridico il reato specifico con misure severe nei confronti di chi svolge attività di reclutamento di una simile forza-lavoro; per rispondere alla domanda: la condizione di clandestinità determinatasi a causa di una legislazione che non ha funzionato, la Bossi-Fini per intenderci, aveva generato forme di utilizzo improprio della presenza di immigrati sul nostro territorio».
Da qui un segnale in materia di “caporalato” e non solo.
«E’ un problema atavico che interessa la nostra terra e prescinde dall’impiego di extracomunitari: non dimentichiamo che in un recente passato abbiamo registrato “morti bianche” fra gli italiani, nostri corregionali; sicuramente vanno scoraggiate queste forme di utilizzo degli extracomunitari presenti sul nostro territorio: senza voler fare un discorso squisitamente etnico, esistono organizzazioni che gestiscono il fenomeno clandestino funzionale a specifici reati; le comunità più conosciute: quella nigeriana, una forza nel racket della prostituzione femminile e lo spaccio di sostanze stupefacenti; così la tanto complessa presenza di comunità cinesi vissuta, quasi, come “arricchimento esotico” delle nostre comunità, quando talvolta nasconde organizzazioni articolate che utilizzano la presenza regolare degli immigrati sul nostro territorio sotto forma di “schiavismo a distanza”, una sorta di riscatto di viaggio e permanenza nei Paesi occidentali».
Approssimazione nell’accoglienza. Le offerte al ribasso rischiano di provocare danno a chi fin qui ha svolto il suo ruolo in modo professionale e agli stessi ospiti dei Centri.
«Indagini approfondite hanno condotto a realtà in territori diversi; penso a quelle romana e siciliana, che hanno fatto emergere sistemi oggi sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti; mi rifiuto di pensare che flussi migratori da Nord Africa e Medio oriente, non siano stati già in partenza oggetto di interesse da parte delle grandi centrali del crimine organizzato di casa nostra.
Quanto in un secondo momento questo fenomeno si sia tradotto in business è attualmente nelle mani dei giudici. Questo ha ingenerato una difficoltà di lettura e valutazione, tanto che molti Centri di accoglienza hanno pagato in termini di credibilità un costo alto rispetto al lavoro straordinario fin qui prestato».