Domingo Stasi, tarantino, duemilacinquecento volte in scena in Italia e all’estero

«Quando sei tenore e, per giunta italiano, all’estero ti acclamano, purché dimostri il tuo valore. A venti anni ho sfiorato il sogno del professionismo. Devo a papà e mamma l’amore per il Belcanto. Debutto da protagonista al “Regio” di Parma, ma che emozione cantare al Valle d’Itria e all’Orfeo di Taranto…»

Domenico Stasi, “Domingo” in arte e sui borderò Siae. Tarantino, cinquantatré anni, da trenta è tenore professionista. Debutta al teatro Regio di Parma con la Compagnia del grande Corrado Abbati. Gira prima l’Italia, poi il resto del mondo. Una, due, tre volte. Milleottocento recite teatrali,  più di settecento concerti. Non si finisce mai di imparare, né di studiare, è questa la lezione del Maestro Domingo Stasi, tanto che, come ci spiegherà, ottimista per natura, il Covid per lui è stato un bicchiere mezzo pieno tanto da dedicarsi ad attività e studi che non aveva mai svolto fino a questo momento.

 

Partiamo proprio da qui, come fa un cantante lirico a tenersi in esercizio.

«Periodo difficile, occorre avere una grande forza mentale; positivo per carattere, attendo la ripartenza, svolgo i miei esercizi quotidiani per tenere le corde vocali in costante allenamento: a ripetere un repertorio consolidato, ma anche a studiare quanto potrebbe essere di particolare interesse per uno, come me, alla costante ricerca della perfezione e di nuovi stimoli».

 

Quanto manca ad un artista quella sana tensione che lo relaziona al pubblico?

«Abituarsi, piegarsi ad un periodo così complicato come quello che stiamo attraversando a causa della pandemia, è l’esercizio mentale più difficile: passione e amore per questa professione ti schiudono nuovi mondi, orizzonti culturali che ti aiutano sicuramente a crescere; fino a quando è stato possibile salire su un palcoscenico, interpretando un numero indescrivibile di recite in costume non mi sono mai trovato davanti a platee con sessanta, ottanta spettatori…».

 

Per non parlare con dei tour all’estero.

«All’attivo milleottocento recite teatrali, dunque in costume, e qualcosa come oltre settecento concerti. Con la mia compagnia cantavo davanti a platee dai duemila ai quattromila spettatori: cantare, recitare davanti a una media di seicento, piuttosto che ottocento persone, è una prova di carattere non indifferente, fatta di esercizi e massima concentrazione. Con il pubblico ogni sera è una bella sfida che, a fine rappresentazione, provi a chiudere con un grande abbraccio».

 

Quando ha capito che la sua grande passione stava diventando una professione?

«Quando ho capito che i grandi cantanti lirici non si fermavano ad ascoltarmi non di certo per compiacermi o per piaggeria: ecco, lì ho avuto l’esatta sensazione che potevo provare a realizzare un sogno cominciato a coltivare a tredici, quattordici anni: allora cantavo sui dischi suonati allo stereo, spinto dall’amore trasmessomi dai miei genitori, in particolare da mio padre, patito della lirica. Dovessi dire un’età precisa, bene, i vent’anni: è allora che gli insegnanti si sono accorti di me; a quel punto ho capito che la passione cominciava a trasformarsi in qualcosa di più concreto, posto che la crescita doveva però passare attraverso sacrifici, tanta gavetta. Infine, il primo passo importante, il debutto in qualità di tenore protagonista al “Regio” di Parma e, a seguire, tournée nei più grandi teatri italiani con la prestigiosa Giovane Compagnia di Operette di Corrado Abbati».

tenore 2 - 1

Un concerto che incornicerebbe?

«Risposta imbarazzante, come se mi chiedesse qual è il cantante che amo: dovessi fare sintesi, l’elenco comprenderebbe almeno una decina di nomi; lo stesso dicasi per recite e concerti, ma se fossi costretto a una risposta secca tornerei certamente al “Regio”, Ciclamino in “Cin Ci Là”, come a dire che la prima emozione non si scorda mai; accanto a questa ci metterei il debutto al Festival della Valle d’Itria, del quale ero stato spettatore da ragazzino; come la “prima” all’Orfeo di Taranto, giocare in casa provoca grande emozione, in un attimo può demolire quelle certezze messe insieme giorno dopo giorno con l’esperienza».

 

Ha girato il mondo più volte. Volessimo fare un distinguo fra pubblico e pubblico?

«Quando ti presenti come “tenore italiano” all’estero, puoi considerarti già a metà dell’opera, il pubblico considera il nostro Paese la culla del Belcanto: ma, attenzione, anche qui l’arma è a doppio taglio, a cominciare da una responsabilità maggiore; oggi esiste una più spiccata conoscenza delle opere e delle romanze anche grazie ai grandi interpreti della nostra canzone: negli Anni Settanta e Ottanta la lirica esercitava un certo fascino, oggi invece il pubblico devi convincerlo; un po’ come i calciatori ingaggiati negli Stati Uniti o in Cina per dare spettacolo. A proposito, proprio in Cina, confesso, in modo inatteso, ho trovato calore e grande competenza; lo stesso in Russia, senza dimenticare il Messico, Paese nel quale la cultura latina gioca un ruolo fondamentale».

 

Cavalli di battaglia?

«Tenore lirico spinto, mi sono adattato anche in ruoli da lirico leggero, come nell’operetta, tanto che quelle più indicate alla mia voce in questa forma di spettacolo sono quelle da “baritenore”, autentici gioielli scritti da Emmerich Kalman e Franz Lehar, fra i principali compositori dell’operetta viennese; nella lirica, invece, Cavalleria rusticana, Pagliacci, Tosca, Traviata, tutte in repertorio, in attesa di Turandot e Aida, interpretazioni di pari ardimento con le quali prima o poi mi misurerò».

 

Quando pensa a Taranto?

«Rapporto di amore e odio, amo la mia città, la sua storia e le sue tradizioni. Fin dal liceo, però, ho sempre desiderato che i miei concittadini avessero uno spirito diverso, fossero più consapevoli delle proprie potenzialità; vorrei, in qualche modo, che il tarantino non ostentasse solo l’orgoglio di appartenenza, ma si impegnasse nel provare a costruire un sogno. Nella mia vita ho realizzato un 70-80% dei miei progetti, la restante percentuale la lascio a quel desiderio di imparare sempre qualcosa di nuovo».